Archetipi perturbanti

di Gianluca Ranzi

Fabrizio Soldini appartiene a una generazione di artisti nata negli anni ottanta che lavora a partire da un deposito di energia culturale che configura l’opera come il risultato di un intreccio stilistico capace di inglobare dentro di se cifra astratta e potenzialità figurativa, piacere della creazione e rigore spirituale della forma, spontaneità gestuale e progetto stilistico.
Soldini utilizza la pittura come un campo di elaborazione visiva del profondo che non procede però a briglia sciolta verso l’annichilimento narcisistico, ma recupera senza citare diversi livelli culturali sedimentati in memoria e alcuni precisi stilemi grammaticali delle avanguardie storiche usati come flashes improvvisi e riorganizzati in un’inedita sintassi: Sebastian Matta e Wilfredo Lam con Alien e Ridley Scott, la psichedelia di William Burroughs con la fantascienza di Isaac Asimov, il trance rock dei Doors con il free jazz di Albert Ayler.
A questo gioco intellettuale e postmoderno si sovrappongono però la tensione espressionistica e la convinzione emotiva del suo personalissimo mondo poetico di vocazione onirica, in cui i frammenti di arcaici motivi transculturali – dalla terribilità delle maschere Gong del Gabon e dai totem Navaho fino ai gargoyles di pietra del gotico d’Oltralpe –, danno corpo a un mondo trasversale che conferisce al suo lavoro, spesso caricaturalmente vibrato, i colori del regressivo e del grottesco.
Il riferimento al jazz, in particolare alla follia liberatoria e visionaria di Ayler, sembra particolarmente calzante per quadri come «Hell» o come «Red», entrambi del 2002, in cui il clima tra l’onirico e l’orrifico ne richiama alla mente alcuni brani famosi come «Holy spirit» e «Ghosts», datati 1964.
Anche per le opere di Fabrizio Soldini si può quindi adottare una terminologia critica jazzistica per descriverne alcuni tratti costanti: il fraseggio solistico nervoso e sintetico, le improvvisazioni costruite su accordi di passaggio, le brevi dissonanze, i richiami poliritmici, tutti effetti che il jazz elaborò in simbiosi e condivise con la scuola newyorkese dell’espressionismo astratto – tragedy, extasy and doom –, che ispirarono la beat generation, che raggiunsero gli esistenzialisti come fenomeno culturale internazionale, che stimolarono l’immaginario di massa attraverso la moda e il costume e che vibrano in piena estensione, dal basso al falsetto, anche nella deregulation armonica e nell’empito dionisiaco delle opere di Soldini.
Buon ascolto, dunque!

gennaio 2003

« Prev Next »